GNOSIS
Rivista italiana
diintelligence
Agenzia Informazioni
e Sicurezza Interna
» ABBONAMENTI

» CONTATTI

» DIREZIONE

» AISI





» INDICE AUTORI

Italiano Tutte le lingue Cerca i titoli o i testi con
Per Aspera Ad Veritatem n.26
La convivenza delle culture. Un’alternativa alla logica degli opposti fondamentalismi

Franco Ferrarotti - Edizioni Dedalo, Bari, 2003



Franco Ferrarotti, decano della sociologia italiana, si misura, in questo lavoro recentissimo e di grande spessore, con il tema del dialogo tra le culture, questione di importanza assoluta che sta catalizzando, in un’epoca di grandi trasformazioni e significativi movimenti migratori, l’attenzione degli studiosi maggiormente sensibili e attenti che si interrogano, con gli strumenti di una conoscenza scientifica interdisciplinare, sulle caratteristiche e le relazioni fondamentali del mondo che verrà. La convivenza delle culture, titolo del saggio, sembra rappresentare un’assertiva presa di posizione sulla strada da percorrere per «restare lontani dalla tentazione di ghettizzazione e di stigma di inferiorità alla collaborazione fra le culture», perché il secolo che ci accingiamo a vivere sperimenti uno sviluppo pacifico, un’alternativa, come recita il sottotitolo, alla logica degli opposti fondamentalismi. Sottolinea Franco Cardini, nell’intervista che apre questo numero della Rivista, che la causa scatenante di molti conflitti è la non-conoscenza, fonte di distanza e pregiudizio. Con immagine veramente efficace egli richiama l’attenzione su come il pregiudizio tenda a scomparire, quando oggetto della nostra attenzione è il musulmano della porta accanto.
Ecco dunque come il terreno dell’incontro tra le culture, una prospettiva certamente condivisa da Ferrarotti, non può che essere il punto di partenza per una società che voglia contenere tensioni e conflitti, garantire al medesimo tempo sicurezza e sviluppo. Lo scienziato, il sociologo, non hanno che da inerpicarsi su questo sentiero accidentato, disseminato di ostacoli quando si passa dalle enunciazioni teoriche alla concreta gestione dei problemi, cercando prima di tutto, tra le varie definizioni di cultura, quella che può meglio evidenziare i caratteri del concetto di «co-tradizione culturale», necessaria per riconoscere in primo luogo a tutte le culture pari dignità e dare ad esse un aiuto per il reciproco interscambio e arricchimento.
Una prospettiva di alto profilo, molto meno ovvia di quello che potrebbe apparire, che deve innanzitutto confrontarsi con le definizioni di cultura. Ferrarotti cita in proposito Kluckhohn, che ne esprime una sorta di catalogo («il complessivo modo di vivere di un popolo»… «il modo di pensare, sentire e credere»… «una serie di orientamenti standardizzati nei riguardi di problemi ricorrenti»… «un’astrazione derivata dal comportamento»…), e Weber (…un campo metalogico di valori, mediante i quali l’uomo legittima il proprio agire ed è quindi un’interpretazione psico-spirituale dell’esistenza…), proponendo egli stesso un nuovo concetto di cultura che immagina come «una struttura di significati riflessi, logicamente organizzati e intersoggettivamente comunicabili»…. «significati che si consolidano e cristallizzano in schemi mentali e in istituti di comportamento e quindi in mentalità e in istituzioni, sia informali che formalmente codificate».
Per arrivare a proporre questa concettualizzazione, Ferrarotti utilizza lo strumento del viaggio storico-culturale, analizzando le epoche, i luoghi, la pluralità degli atteggiamenti che hanno contribuito in modo più incisivo al cambiamento delle tradizioni popolari e che nel loro insieme sono gli artefici della condizione in cui la nostra società vive. L’itinerario intellettuale approda in particolare sulle sponde del Mar Mediterraneo, luogo-laboratorio in cui sono rappresentate, anche se contrapposte, innumerevoli tradizioni culturali, spirito dei tanti antichi popoli che lo circondano e lo vivono.
Il discorso si articola naturalmente con un respiro assai ampio, né potrebbe essere diversamente. Il lavoro di Ferrarotti coinvolge pensieri filosofici che si sono succeduti nel tempo (Gobineau «sul mito della purezza razziale», Spengler «l’uomo è soggetto al destino che domina la storia»), grandi movimenti culturali e religiosi (ellenismo, romanità, cristianesimo), le guerre e le conquiste.
L’idea del Professore è che «Il sociale cambia pelle, muta alloggio, se ne va, si trasforma, assume caratteristiche per le quali mancano ancora le parole», e ancora «..il sociale sette-ottocentesco, quello in cui siamo cresciuti, se n’è andato…non c’è più, ma i sociologi non se ne sono accorti».
Se questa è la situazione della sociologia contemporanea, cosa di meglio per immaginare un percorso nuovo che rivolgere l’attenzione ai problemi dei giovani e al loro «mondo sconosciuto il cui ingresso è vietato agli adulti», così come al processo che sta portando i deboli del mondo a spingere sempre più sulle frontiere del ricco occidente, se è vero che «chiarire le condizioni attraverso le quali gli immigrati extracomunitari in Europa e gli ispanici negli Stati Uniti possano trasformarsi da ospiti pro tempore in cittadini pleno jure è certamente uno dei compiti, morali oltre che scientifici, della sociologia di domani».
C’è bisogno di un nuovo linguaggio per il futuro, di una teoria sociologica nuova, interpretativa del nuovo tessuto sociale, che abbia ad oggetto l’inter-connessione dei fatti sociali, il loro reciproco condizionarsi. Guardare insomma a una cultura, secondo Ferrarotti, non più fondata sulla contrapposizione, isolata o blindata, ma aperta al dialogo per capire le diversità e per accettare una sostanziale eguaglianza e pari dignità fra le culture.



© AGENZIA INFORMAZIONI E SICUREZZA INTERNA